Brucio

lunedì, aprile 24, 2006

Un bacio

1

Presi due birre al chiosco. Beppe sembrava capire la mia fretta,forse qualcosa negli occhi.
Dopo essere salita a prendere il disco che le avevo prestato atterrammo sul molo del locale dove fino a poche ore prima avevo suonato.
Prima c’era qualcuno con noi. Ma fu liquidato senza troppe premure. Io, a dire il vero,avrei sportivamente lasciato il campo in precedenza,quando ancora eravamo al locale, ma le mie chiavi lasciate in una delle tasche della sua auto mi astennero da qualsiasi beau geste.
Al pallore arancione della radio ci stavamo parlando troppo vicini. Il crescendo della musica si fece inevitabile. A me venne quel caldo al sangue che fa stringere gli occhi.
La fortuna è un certo buio con una certa musica.
Ci stiamo baciando,ci stiamo baciando…ti rendi conto?
E più è incredula,più non riesce a fermarsi.
Io la rassicuro con una evidente bugia. Non ci stiamo baciando. Non ci stiamo baciando per niente.
Ogni volta che ci interrompiamo rimettiamo indietro la canzone ed è come se mettessimo indietro anche noi.
Se le sensazioni fossero una realtà mi uscirebbe il cuore dalle orecchie e dagli occhi,piangerei e riderei,dimagrirei,metterei indietro l’orologio. Ma invece lo metto avanti. Poi lo posiziono in un’ora che non può essere né avanti né indietro;semplicemente e completamente fuori.
Ci metto passione in un bacio io.
Ricapitoliamo.
Non è il momento.
Ok,facciamo solo un calcolo. Tre beck’s,tre chupito…
Niente,lo faccio dopo.
Si dicono cose belle. Io però non ce la faccio. Si dice anche stiamo rovinando tutto. Cioè,questo lo dice lei. Poi dice che però lo vuole. Poi che lo vuole ma che non lo voleva e che non sa se lo vorrà ma che lo vuole. In effetti è precisa. Fatalista perfino.
In una botta di ironia delle mie solite e intempestive dico sono cose che succedono.
Poi mi scappa da ridere; non so come ma la chitarra entra in auto. Avevo scritto una cosa per lei;ma ora va decisamente modificata.
Ho scritto una canzone che è scaduta prima di essere suonata in pubblico. Forse basterà cambiare qualche parola. Non mi accorgo di pensare a voce alta. Ma va bene lo stesso. Cosa? Chiede. Forse basterà cambiare qualche parola,ripeto. Quando? Domani. In fondo è la verità. Sento la sua testa sul mio petto. Una testa bella,ovale,le mani si prendono e si lasciano. La chitarra mi si accovaccia a fianco. Sono in mezzo.
Il mare notturno non può imporsi,il volume nell’auto continua a salire.
Io non credo sia proprio ubriaca.
Mi fermo,me lo chiedo un po’ più seriamente. Decido di fermarmi. Si ristabilisce l’ordine. Per un momento restiamo ognuno al suo posto,forse solo ancora per mano. Decido di cambiare discorso un secondo. Scendo e vado a pisciare. Sono pure caduto.
Se ne sarà accorta?
Okay,rientro in macchina. Temperatura sanguinea azzerata,volume abbassato,sangue e occhi da soldato. Parliamone.
Niente da fare. Ci baciamo ancora. E ancora.
Io credo che sia scoppiato un contatto. Fisico. Siamo stati ore ed ore insieme nelle ultime settimane. Forse troppa attenzione a non sfiorarsi,a non credere che,a non è che poi e tutta una serie di distanze decisamente eccessive per la voglia di stare insieme che strabordava. Troppo rispetto per due tipi che di normale hanno poco. E che col freno a mano hanno poco a che spartire.
Personalmente ne avevo bisogno;mi sono sentito più tranquillo e appagato in un rapporto totale. Mi è sembrato più vero,più da uomo,più da me.
Lei era più scombussolata.
E questo mi fa sentire egoista. Difficilmente sono triste da egoista però.
Il materasso su cui mi stavo buttando era di quelli stra-rinforzati. Mai la mia testa si è permessa di pensare a un fidanzamento con lei. La sua età è una porta che non si può aprire. Sarebbe come ucciderla.
Sarebbe come chiederle di strozzare il suo essere ragazza per pretenderla donna o esigere da me di ammazzare l’uomo che sono diventato nella speranza che tolta poi la buccia cadavere ne riesca sotto il ragazzo che ero.
Anzi,che non ero.
In questi casi mi torna sempre in mente il Pelassone. “Uomo vecchio” mi chiamava.
Perché non sei mai soddisfatto,sei sempre irrequieto,ti complichi sempre le cose. Gli piaceva la mia ragazza e non gli andava giù che a me non andasse bene quella santa donna. E poi per tutto;non ti va bene la politica,la compagnia,la musica che mettono alla radio,i locali che frequenti. Mi rimproverava di non saper essere un ragazzo come gli altri.
Penso sempre più spesso a quelle notti passate a parlare. Ci parlavo bene con lui e lui con me. Mi voleva bene;diceva che ero “comunista” perché suonavo sempre per gli altri. Io pensavo e si scherzava ,tipo,comunista e uomo vecchio…che ne potrà essere di me? Sarai sempre irrequieto mi diceva scherzando serio. A quelli come noi girano sempre i coglioni. Questione di sensibilità dicevo io. Questione di rabbia diceva lui. E non è una differenza di poco conto. Deve aver pesato quando quattro anni dopo si è sparato in bocca sul lungo Centa.
Maledetto amico mio.
Pensandoci non è proprio della sua età neppure lei.
Io già non sono il tipo che fa il personaggio con le ragazze. Me ne vergognavo già al Liceo quando tutti andavano a fare i fighi con le primine. E non ho nemmeno mai fatto il figo una volta presa la patente con l’auto di mio padre,parcheggiavo dietro il bar. Non mi sembrava coerente. Esagerato,come al solito,ma coerente.
Avevo una correttezza innaturale una volta. Perduta poi come l’innocenza.Eppoi io suono,una donna c’è sempre per chi sa suonare.
Non avere nemmeno per l’anticamera del residuo cerebrale in funzione l’idea di un fidanzamento mi rende più libero con lei. Anche diretto. Impercettibilmente affettuoso. Vivo in un eterno e libero abbraccio. Coi miei metodi,le mie psicoanalisi,le mie ipotesi.
Un’altra cosa che mi è venuta in mente è la mia posizione al bar da Andy Capp. E’ risaputo da ogni cultore del linguaggio del corpo che a posizioni uguali corrisponde attrazione perlomeno intellettuale ed è pertanto mio consueto sport verificare ogni tipo di messaggio fisico negli ambienti sociali che mi ritrovo a frequentare. E’ un mio insano sport.
La verità è che in gruppo i discorsi mi annoiano. Sempre le stesse parole. Sempre il bisogno per qualcuno di imporsi,per qualcun altro di sentirsi interessante,quello che deve raccontare quanto era fuori,quella che deve sperimentare la morale che la distingue dalle amiche. Che palle. Allora mi metto a parlare con i loro movimenti,le loro tensioni nel corpo;le inclinazioni,le parti incrociate,i tic,le smorfie. Guardo i poveri corpi della gente dimenarsi per liberarsi dalle banalità che i ruoli prestabiliti vomitano nelle chiacchiere al tavolo. Inserisco il pilota automatico che mi consente di navigare con agio tra le loro cazzate a cui mi unisco solo di rimando mentre in realtà sono tutto concentrato a parlare davvero con la loro fisicità.
Il gioco non mi riesce se sono coinvolto nel discorso.
Non riesco a studiare una persona interessante.
E’ anche un po’ una fregatura. Ma ha una sua logica. Quando ascolto qualche pezzo musicale che non mi prende cerco di assaporarne la tastiera,la bravura nella voce,il riff di chitarra. Ma se il pezzo mi coinvolge non riesco a considerarlo disaggregatamente. Divento io stesso parte della sua esecuzione. Ne divento l’ascoltatore.
Così il gioco del corpo con lei è stato assolutamente raro. Il minimo indispensabile per rilevare le differenze del suo comportamento alla presenza della sorella e un minimo di rilievo della mia eventuale noiosità.
L’altro pomeriggio,dicevo appunto, mi sono sorpreso al bar nella mia alcolica posizione di Andy Capp e mi è scappato da ridere perché sebbene sia la posizione più intelligente baristicamente parlando è da sempre la più rara. Mai riscontrata. Quando proprio lei mi fa notare che anche lei era nella medesima posa. E senza avere idea di chi fosse Andy Capp.
Lì,ho pensato davvero,è stato incredibile. Mi tornava in mente la posizione da Andy e le sue implicazioni. Baciandoci.
L’ora era ormai indecifrabile,le nostre parole ancora di più.
Valeva solo abbracciarsi forte e tornare a casa.
Tappate tutte le possibili luci del mattino sono svenuto ma già alle dieci avevo occhi spalancati e arsura nella gola. Mi sono alzato e sono andato a bruciarmi il risveglio sul terrazzo,accanto alla picciona che covava. Una sigaretta sarebbe perfetta ho pensato. Se fumassi.
La gente tende a farsi delle domande difficili e a renderle facili grazie alla consuetudine.
Come stai? E’ domanda pesante. Nella risposta presuppone bilanci,pesi,confronti,statistiche,periodi da gestire. Come stai? Quando? Oggi? In questi giorni? Rispetto a cosa? La gente dovrebbe fermarsi,dire parliamone,eh…un attimo dunque,economicamente? Affettivamente? Ti riferisci a ieri sera mica? Ma parli di mia moglie? Eccetera.
La gente dovrebbe farsi domande più semplici almeno quando si incontra per strada. Incontrarsi e dire “7x8?” oppure “la capitale dell’Argentina?” lo troverei più appropriato.
Uno sperabilmente avrebbe la risposta pronta e si scaccerebbe la triste noia del banalizzare le domande che invece le persone dovrebbero farsi veramente.
Io quella domanda,come stai?,me la sono fatta davvero sul terrazzo.
E mi sono risposto “bene” con prontezza.

2

Quando arrivò aveva tutta la faccia seria.
Io non voglio parlare. Parlare spreca le cose. Le parole sono recinti. Quando vuoi spiegare i baci con delle parole è come mettere degli animali in uno zoo. Te li aspetti in un modo e invece sono tutti tristi e assopiti come se non fossero leoni ed elefanti. Ma si sa,quando una donna vuole parlare e non c’è nessun altro nella stanza è proprio a te che tocca rispondere.
Abbiamo fatto una cazzata.
Non mi smuove.
Cioè,io adesso mi conosco e non sarò più come prima.
Neanche io.
Credevo fossi mio amico.
Sono un uomo. Glisso.
Come mai mi hai baciato? Chiedo.
Mettici l’alcool,mettici la musica,mettici le affinità.
Se ci mette anche il ghiaccio mi sento un cocktail.
Non è facile parlare di queste cose e onestamente non si è detto un granchè. Si è capito che lei era agitata e io più tranquillo. Passati i giochi di parole sull’evento il discorso si è rilassato su temi più cerebrali e più familiari. A me interessa il coinvolgimento. Solo quello mi interessa di lei. E quello si ristabilisce in un paio di arpeggi di chitarra. In un attimo sono le tre. Come al solito con lei.
Si alza e dice che non abbiamo risolto niente.
Non mi stupisce ma non lo dico.
E’ una delle poche volte che in sua presenza non dico una cosa che mi passa per la testa.
Se voleva farmi pentire di averla baciata c’è riuscita poco. Comunque insomma la sua insoddisfazione per l’evento non mi lascia proprio pieno di orgoglio. Forse credo di baciare meglio di quanto sia in grado ma insomma un po’ di esperienza ce l’ho. Ma non riesco proprio ad essere infelice. Ho solo una riga di amaro a vederla così schifata di avermi baciato.
Per me il bacio non è mica un diritto,è qualcosa che esplode alla fine di un’avventura.
Non c’è avventura senza bacio forse.
C’è qualcosa che non riesce a dire. Vorrebbe che lo dicessi io. Ma io non lo so o non è giusto che lo dica io.
Devo promettere che non ti bacio più?
Sì.
Okay.
Poi ci ripenso,promesse del genere non sono proprio nelle mie possibilità. Mi spiace,è un rischio che esiste. Ritiro la promessa. Cazzo,che onesto però.
Ci abbracciamo forte. A me non sembra un addio.
Non dovrebbe esserlo.

3

La settimana dopo il citofono mi sorprende in uno dei pochi minuti in cui non la stavo aspettando.
Chi è? Con la solita voce da idiota. Mi sono affezionato a questa gag. Inspiegabilmente.
Ma non è lei.
E’ Anna. La sorella.
Ha un passo più rapido,in un attimo è nell’ascensore e nel tempo di un dubbio appare sorridente nel corridoio. Ciao.
Eva è a casa. Qualche come stai. Qualche ho male qui,fa ancora freddo,che ridere sabato sera e poi il nocciolo.
Eva è in cinta.
Mi viene da vomitare.
Anna,ascoltami,c’è un particolare che è giusto che tu sappia. Io e Eva ci siamo solo baciati. Te lo giuro.
Lo so,ti credo. Eva me l’ha ripetuto tutto il giorno.
E allora,non può essere.
Come,non può essere,ha frequentato solo te. Eravate sempre insieme. Sempre e sempre.
Sì,ma io l’ho baciata e solo una volta.
Anche se è raro l’hai messa in cinta caro mio. E ora bisogna che ne parliamo un attimo bene tutti perché è ora che ci rendiamo conto di quello che succede nella vita e poi… ma io non la ascoltavo più.
Mi ondeggiava la vista.
Ero sul punto di svenire quando mi ripresi: non è possibile mettere una ragazza in cinta con un bacio.
E invece sì,si può, è raro ma succede e il dottore ha detto che è una fecondazione recentissima.
Voglio parlare con lei.
Non adesso.
Perché?
Perché non vuole.
E invece io voglio e le devo parlare.
Sta arrivando.
Io continuo razionalmente a rifiutare la minima possibilità di avere messo in cinta una persona con un bacio. Anche se lungo.
Ascolta,mi dice Anna,facendo pesare il suo ruolo di primogenita e di vero perno di tutta la famiglia,noi siamo persone un po’ particolari. Da secoli ci riproduciamo con un semplice bacio. Solo con lei la tradizione si era interrotta e questo ci ha fatto pensare che lei fosse libera da questa specie di incantesimo. Anche perché è la prima volta che accade a una secondogenita. Lei non era a conoscenza di ciò. Non perfettamente perlomeno.
Quando Eva arrivò piangeva solamente.
Non riuscivo a dire niente.
Ero l’uomo più inculato della storia e penavo per una ragazza in lacrime.
Ora dobbiamo dirlo ai miei.
Disse mentre io cercavo di svegliarmi dall’incubo.

4

Il paese dopo un mese non era più lo stesso.
Io stesso non ero più lo stesso.
La decisione era stata quella di non specificare a nessuno la storia del bacio. Viste le prove della gravidanza non ero voluto entrare nei dettagli neppure con i miei. Per tutti era stato un fattaccio. Inaspettato e indesiderato come tanti che accadono anche qui in provincia per le risate sotto i baffi dei soloni del bar.
Mia madre era contenta,mio padre ironico. Solo a mio fratello la questione puzzava e mi chiedeva di reclamare prove più concrete.
Lui conosceva Eva;mi diceva di assicurarmi di essere il padre.
Io invece mi fidavo. Assurdo.
Le avevo preso le guance tra le mani,l’avevo guardata fissa negli occhi mentre piangeva e le avevo chiesto con fermezza “Mi devi dire con sicurezza e sincerità di chi sei in cinta?”. Tirò un singhiozzo,ma poi con orgoglio e sfida negli occhi rossi disse “ di te”. E resse il mio sguardo. Non l’aveva retto mai. Io le credetti.
Mio fratello per questo invece mi reputò un novello Sangiuseppe. Figurarsi andare a spiegargli quello che non avevo capito nemmeno io. Che l’avevo messa in cinta con un bacio.
A volte la mattina mi svegliavo e mi chiedevo se era il risveglio dall’incubo o dal sonno. Poi arrivavano le incombenze degli operai e delle banche per mettere a posto la casa per i nuovi arrivati e mi rendevo conto che l’incubo era ancora la realtà.
Tra noi le cose erano più irreali che mai. Entrambi evitavamo il problema e di buona lena ci allenavamo a credere che la nostra fosse una vicenda normale. O perlomeno una vicenda possibile.
Non ci baciavamo mai e la mia ironia era devitalizzata.
Dormiva a casa sua e ci vedevamo solo il pomeriggio. Il più delle volte con sua sorella negli immediati dintorni se non anche mia madre che regolarmente mi accusava di non avere imparato nulla da lei.
Ma che tende vuoi mettere? Ma dove le hai viste?
Ma qui il letto va messo per così. Ma non lo hai mai visto come è messo a casa? Ma chi ti ha allevato?
Eva con sconosciuta pazienza rintuzzava le bordate di mia madre e riusciva a imporre con una calma apparente un suo ragionevole gusto.A me pareva di guardare un film.
La parte che affrontai con maggiore freddezza fu la preparazione del matrimonio;come in trance riuscii a convincere tutti a saltare la festa.
Io volevo uscire dalla chiesa e salire su un’automobile rossa e magari scoperta. Volevo andare verso Sud ma andava bene anche la Spagna.
Al suo quarto mese ci sposammo e partimmo.
A Marsiglia mi fermai. La guardai.
Ci guardammo.
Cosa stiamo facendo secondo te?
Non lo so. Stiamo lasciando decidere gli altri.
Gli altri chi?
Gli unici che ci potranno dare una mano;i miei,i tuoi,mia sorella.
Ma tu,ma noi non possiamo decidere niente?
Se vuoi ribellati.
Io non sono più io,mi sembra di assistere a una commedia dell’impossibile.
Perché cos’è il possibile,il probabile,lo scontato? Non eri così innamorato dell’irrazionale? Così esperto del ribaltare le storie?
Io le sollevai la maglietta.
Le guardai la pancia.
Cominciava a formarsi e c’era una grande bocca disegnata.
Come un bacio di Marylin.

5.

In Spagna al limite di una casa sulla strada impolverata Eva faceva un sacco di cose contro sole. Io la guardavo dal divanetto sul terrazzo dove strimpellavo e urlavo nel silenzio rosso di una valle che finiva sulla strada.
Io mi sentivo assurdamente in vacanza,non pensavo né al lavoro in aspettativa né al pancione a cui ormai mi ero abituato.
Ero in vacanza dalla meschinità del bar,dall’ansia di mia madre,dalla furia organizzatrice di Anna. E mi accontentavo.
Eva invece sembrava avere sempre qualcosa da fare. Aveva un aria serena. Sembrava amare la Spagna.
Io ero di troppo. Mi sentivo come se lei fosse a posto così,con un figlio avuto da un bacio. Potevo anche andarmene se volevo. E allo stesso tempo potevo restare e darle una mano se volevo.
Invece ero immobile. Che non sapevo cosa fare.
Cucinava con grazia e serenamente mi serviva con una calma che mi spiazzava.
Io credo che lei non sapesse di rischiare la gravidanza con un semplice bacio. Ma c’era nel recondito della sua anima una consapevolezza che forse realizzava qualche suo sogno strano. Si sentiva come liberata dal peso di una missione che non conosceva.
Quante persone hai baciato le chiesi.
Moltissime fortunello,rispose.
Per un attimo mi tornò il sorriso complice di una volta.
E per un attimo a lei tornò lo stesso sguardo che mi aveva fatto impazzire.
Bevemmo e fu una bella serata.
Il giorno dopo alle stesse ore parlammo con più libertà.
Io prenderò una decisione,le dissi,sto prendendo tempo,cercando di realizzare quello che sta succedendo. Vorrei capire soprattutto perché è successo a me.
Lei disse solo mi sembra giusto.
Tu mi ami? Le chiesi?
No rispose sorridendo. Però non dimentico che mi hai creduto. Nessuno tra gli uomini che ho amato mi avrebbe creduto. A volte penso che questa cosa è successa a te proprio per quello.
E tu? Lasciò cadere portando i piatti in cucina.

6

Lasciando la Spagna espressi il desiderio di venire a vivere lì.
Ma forse era il senso di nausea pensando all’atmosfera che ci attendeva al ritorno.
Si potrebbe,disse solo, ma bisogna vedere cosa ne dice mia sorella.
Sbuffai.
Ero nervoso. Il paese ci attese grigio e cattivo come sempre. Corredino e tovagliolini di ogni colore mi ingarbugliavano lo stomaco mentre tutti erano interessati al count down.
Sarebbe dovuto nascere il 13 Gennaio. Anna ed Eva sapevano fin dall’inizio che sarebbe stata una femmina. Fu solo per assecondarmi che si lasciarono controllare e non fecero un accenno di minima sorpresa quando il verdetto confermò la loro certezza. Io e il dottore ci sentimmo degli idioti.
Nel frattempo quella pancia assurda con lo stampo dello smack di Marylin ormai enorme cominciò a dare dei dolori a Eva che anche dopo il matrimonio stava sempre a casa dei suoi a farsi assistere dalla sorella.
Io capivo dalle pietre nei suoi occhi rossi che era stata una notte difficile e non facevo domande. Sua sorella,ostetrica,con la sua calma olimpica rassicurava i nostri genitori. Mio padre guardava mia madre e diceva “chi meglio di lei la può assistere? E’ sua sorella e fa l’ostetrica” e poi tornava a sedersi. Ogni volta c’era una partita che stava per iniziare.
Anche il padre di Eva sembrava rassegnato a fare una parte passiva. Mia madre e sua madre invece avrebbero voluto sentirsi più utili.
Natale fu un’inondazione di giochi e giochino. Io avrei voluto farne un rogo.
Piansi,la notte di Natale,piansi tutta la notte.
Il giorno dopo Eva mi regalò un libro.
Mia madre un forno e un frullatore.

7

Il 12 fu ricoverata in ospedale.
Mia cugina dottoressa e Anna avevano organizzato tutto. Io ero emozionato. In quella corsia di aspiranti mamme e papà mi sentii uno come loro. Mi feci prendere dalla parte forse. Non so.
Le cose non andarono bene.
Si fecero lunghe,Anna uscii diverse volte con una faccia livida e impenetrabile evitando qualsiasi mio sguardo interrogativo.
Mia madre dimostrò quei coglioni che ha sempre avuto. Passammo tutta la notte ad ascoltare urla e silenzi.
Io e lei. Io e mia madre. Senza una parola e senza un secondo di sonno.
Io non riuscivo a piangere.
Pianse mia madre almeno quando Anna uscì e disse tutto bene ma non si può andare adesso. E’ stata dura. Durissima.
Il 13 mattina alle nove entrai nella stanza;Eva sembrava dormire ma aprì gli occhi. Non riusciva a parlare ma mi prese la mano.
Ho parlato con mia sorella. Andiamo in Spagna entro un anno mi disse.
E io?
E tu fai come vuoi.
La culla era vuota;un solo grande smack di rossetto sul cuscino.
Ma tutti dicevano che amore,che fiore,che bella… come se fossero a guardare una bambina.
Il 15 Gennaio arrivò un mattino inspiegabilmente caldo e soleggiato. Tutti facevano a gara a portare la culla con dentro il bacio.
Tutti scambiavano per shock la mia paura di essere pazzo.
E invece io ero pazzo davvero. Pazzo e consapevole di esserlo.
Il peggio.
Mio fratello mi spiava; aveva dei punti interrogativi disegnabili.
Eva si avvicinò. Avvicinò le labbra all’orecchio.
Avevi ragione,un bacio non è la fine del mondo. Tornerò a trovarti la prossima settimana.
Venga pure dottore,ho finito. Devo andare. Ora può legarlo.
Ciao grande uomo.
Un bacio.