Brucio

venerdì, aprile 28, 2006

L'urlo

Il dolore.
Uno spettacolo sul dolore. Ma non il dolore di cui ci farciscono. Pieno di coppie-scoppie-reality-irreality.
Parlo del dolore che non tiriamo mai fuori. L'urlo che teniamo dentro.
Lo spettacolo di Delbono che ho visto mercoledì sventra.
Sventra e tira fuori. Tira fuori il cuore ancora pulsante e sanguinante,la morte,la ritualità. La fottutissima verità.
L'insufficienza della vanità,dell'opulenza,della religione,della cultura. Basta con le storie d'amore,gli eroi,le metafore.
Solo il rieccheggiare delle parole,delle pagine lette sopra il dolore che urla.
Forse una lontanissima consolazione nell'ancestrale che si esprime nel canto popolare voce di tutti e nessuno,nell'innocente ignoranza,nella follia.
I folli sono pastori di ribellione. Santi.
Tutto quello che è vero è dolore e santità.
E noi passiamo il tempo a mascherarlo, a nasconderlo; a cercarci brillanti,vincenti,sistemati,con i nostri obiettivi,i nostri inutilissimi discorsi orgogliosi,i nostri banalissimi e residuali amori.
La nostra insulsa insoddisfazione intellettuale,l'auto-consolazione snobistica, i pianti inutili vengono ridicolizzati.
Ed è un teatro italiano. E questo vuol dire non americano. Vuol dire non un altro merdosissimo musical moralistico. Vuol dire italiano. Vuol dire Totò,Pasolini,Giovanna Marini. Poi allora si può anche parlare di Ginsberg ma per salvarlo dalla cultura e dalla contro cultura e tutte le altre cazzo di culture che ci limitano ambientando e recintando la genialità per farcela immaginare progresso,scatola,libro o nei casi più poveri spiegazione del mondo.
Quando l'invenzione filosofico geometrica del ciclo riporta tutto al teatro del dolore c'è la scoperta;proprio la differenza tra tivvu del dolore e teatro del dolore. Una differenza che sa unire l'intellettualità pasoliniana alla genialità del folle analfabeta. E non una confezioncina di lacrime pomeridiane che ti faccia sentire fortunato o partecipe.
Ma già distinguersi è un limite,un legaccio al mondo soverchiante di cui sei ingranaggio.
Ma se ancora ho un respiro per urlare Dio salvi il teatro e lo spettacolo di Delbono.